Ne hanno scritto in tanti in questi ultimi giorni. Se ne è parlato molto e allora vi non sto dicendo nulla di nuovo se vi dico che “Squid Game” è una serie coreana davvero potente. Perché come sempre nelle produzioni coreane c’è tutto e soprattutto la morale non è così manichea come nelle serie e film occidentali. Nello sguardo degli abitanti del paese del calmo mattino, la realtà è più complessa di quanto possa sembrare…
Di cosa parla Squid Game?
La trama è apparentemente semplice: 456 partecipanti ad un gioco ad eliminazione in un luogo misterioso. I partecipanti vengono scelti in modo apparentemente casuale. Tutti hanno debiti e il premio in denaro per chi passa tutti i 6 giochi è il motore che li spinge a partecipare.
Tutto qui?
No, ed è questo il bello o forse la parte più inquietante del gioco, che gioco non è. Chi non passa i livelli del Game viene eliminato, nel vero senso della parola.
Le atmosfere sono fantascientifiche e siamo immersi in una realtà dai colori accesi, si ritorna all’immaginario infantile da “un, due, tre, stella” con la tragica consapevolezza degli adulti e con la violenza annessa. Senza fare spoiler, un gioco dopo l’altro la tensione sale, le dinamiche dei personaggi mutano e “Squid Game” si evolve in modo poliziesco, intrecciando trame, storie ed emozioni.
Seong Gi-hun è il nostro Virgilio in questo girone infernale. Divorziato e sommerso dai debiti viene scelto come partecipante. In un primo tempo accetta l’offerta come tutti abbagliato dalla ricompensa in denaro milionaria, ma puntata dopo puntata il suo sguardo cambia e con lui le dinamiche tra i vari giocatori. No spoiler, quindi mi fermo.
Perché vedere Squid Game?
Squid Game di Hwang Dong-hyuk è stata vista solo il primo mese da circa 111 milioni di spettatori. Basta questo per vederla?
No, non lo crediamo, ma vero è che è una serie che tocca temi e immaginari che accomunano culture e popoli. Partiamo dal nome: “Squid Game” è il gioco del calamaro in Corea, che ricorda il nostro “campana” altro gioco di strada infantile. Ci si riconosce dunque anche se si parte da premesse diverse, tutti noi siamo stati bambini.
Dal gioco infantile al gioco legato ai soldi, all’immaginario classista di un mondo diviso tra ricchi, ricchissimi e poveri, che sommersi dai debiti e dalla società performante e competitiva si trovano in quest’isola deserta per ribaltare la loro condizione. Un tutti contro tutti per il denaro.
A questo punto sorge un interrogativo: per fuggire dall’inferno di un’esistenza in una società per niente equa l’unica soluzione è finire in un inferno peggiore? E sostituire al gioco del capitalismo i giochi d’infanzia, dove chi perde viene eliminato del tutto?
Il dubbio serpeggia sottile lungo tutta la serie e sviluppa i personaggi, che nel passaggio da un gioco all’altro evolvono, si definiscono mostrando la loro miseria o umanità.
Il tutto è condito da una violenza costante, non solo fisica, che è la più evidente, ma soprattutto, a nostro avviso anche psicologica.
Ci si sente parte di questa macchina infernale, ti vengono in mente i reality a cui siamo già abituati e per un momento anche a te spettatore sorge il dubbio che si arrivi anche noi a un “game” di questo tipo.
Intrattenimento e realtà sono sempre più intrecciati, realtà che ricorda un gioco e la vita che diventa sempre più destino e poco scelta.
Ci sentiamo di dire che chi è amante dello stile pop, pulp e anche azione questa serie coreana fa per lui o lei, la violenza non ci piace molto, ma nel complesso è una serie che ci ha inchiodato al divano.